Indice
- Le origini della Banda
- Totale omicidi, feriti e bottino ricavato
- Foto dei componenti la Banda
- Luciano Baglioni e Pietro Costanza
- Le Condanne
- Il suicidio del padre dei fratelli Savi
- Le teorie più diffuse
- I sospetti di coinvolgimenti
- Stagismo diffuso?
- Documentari sulla Banda della Uno Bianca
- I migliori libri sulla Banda della Uno Bianca
La banda della Uno bianca fu un’organizzazione criminale italiana attiva tra il 1987 e il 1994.
La banda prese il nome dalla Fiat Uno bianca, l’auto spesso utilizzata durante le rapine, scelta perché diffusa e facile da rubare.
La banda commise complessivamente 103 crimini, tra cui rapine a mano armata, estorsioni e omicidi, causando la morte di 24 persone e il ferimento di altre 114. Tra le vittime ci furono anche carabinieri, poliziotti, civili, extracomunitari e nomadi, con episodi di violenza estrema e anche di matrice razzista.
Le origine della Banda
Le origini della banda della Uno bianca risalgono al 1987 e sono legate principalmente a motivi economici personali dei fratelli Savi, fondatori del gruppo criminale. Secondo quanto emerso dalle indagini e dalle interviste, i fratelli Roberto, Fabio e Alberto Savi, tutti con problemi finanziari, decisero quasi “per scherzo” di iniziare a compiere rapine per risolvere le proprie difficoltà economiche: Roberto aveva un mutuo da pagare per la casa, Fabio aveva un credito non riscosso da un fornitore fallito, e Alberto necessitava di denaro per spostamenti legati alla sua relazione sentimentale.
La banda si caratterizzò per l’uso di una Fiat Uno bianca, molto diffusa e facile da rubare, da cui prese il nome. La scelta di agire con violenza estrema e l’impiego di membri delle forze dell’ordine tra i componenti della banda aumentarono la pericolosità e la capacità di sfuggire alle indagini per anni.
Oltre al movente economico, emerse anche una componente di violenza gratuita e razzismo, con attacchi contro persone di origine straniera e omicidi senza apparente motivo, come testimoniano alcune uccisioni di lavavetri marocchini e operai senegalesi. Questo aspetto fu sottolineato anche dal magistrato Daniele Paci, che coordinò le indagini finali, evidenziando una vena razzista in alcuni episodi della banda.
Infine, alcune teorie giornalistiche e politiche ipotizzarono possibili collegamenti con apparati dello Stato o servizi segreti, ma tali ipotesi non sono mai state confermate ufficialmente e furono smentite dagli stessi membri della banda, che dichiararono come unico movente il denaro.
Totale omicidi e feriti:
Le vittime uccise sono state 23 secondo il Comune di Bologna, mentre altre fonti riportano 24 o addirittura 34 morti, probabilmente a causa di diverse attribuzioni o aggiornamenti delle indagini.
I feriti accertati sono oltre 100, con numerosi episodi di violenza anche contro extracomunitari e nomadi senza scopo di lucro, ma con motivazioni razziste e terroristiche.
Bottino totale:
Il bottino complessivo delle rapine effettuate dalla banda ammonta a circa 2,16 miliardi di lire (circa 2 miliardi e 170 milioni di lire), ottenuti attraverso rapine a banche, caselli autostradali, distributori di benzina, supermercati, uffici postali e altri obiettivi.
In sintesi, la banda della Uno bianca nacque da motivazioni economiche personali dei fratelli Savi, si sviluppò in un contesto di violenza estrema e razzismo, e operò con la complicità di poliziotti, suscitando anche sospetti su possibili coperture istituzionali, mai provate.
L’Organizzazione della Uno Bianca – FOTO
Roberto Savi - L'ideatore della Banda della Uno Bianca Poliziotto
Fabio Savi - Il più spietato della Banda Fratello di Fabio e Alberto Savi
Alberto Savi - Il terzo fratello Poliziotto
Marino Occhipinti Poliziotto
Pietro Gugliotta Poliziotto
Luca Vallicelli Poliziotto
Eva Mikula - La donna di Fabio Savi
La strage del Pilastro: cosa accadde
La strage del Pilastro è uno dei più efferati episodi criminali della storia recente italiana, avvenuto la sera del 4 gennaio 1991 nel quartiere periferico Pilastro di Bologna. In quella circostanza, tre giovani carabinieri in pattuglia – Andrea Moneta, Mauro Mitilini e Otello Stefanini ( Vedi Foto ) – furono brutalmente uccisi a colpi di arma da fuoco da un commando armato, poi identificato come parte della cosiddetta Banda della Uno Bianca.
La dinamica dell’attacco
Poco prima delle 22, la pattuglia dei carabinieri incrociò una Fiat Uno bianca, auto rubata e marchio di fabbrica della banda. Secondo le ricostruzioni, i carabinieri superarono l’auto sospetta e, temendo di essere stati riconosciuti o fermati, i banditi decisero di aprire il fuoco. L’attacco fu improvviso e violentissimo: sulla vettura dei militari si abbatté una vera e propria “valanga di piombo”, con almeno trenta colpi sparati da fucili d’assalto e altri proiettili di grosso calibro.
Secondo alcune testimonianze e le confessioni dei membri della banda, dopo il primo attacco i killer scesero dall’auto e finirono i carabinieri agonizzanti con il colpo di grazia, mostrando un accanimento che ancora oggi resta difficile da spiegare. I banditi si diedero poi alla fuga, abbandonando e bruciando la Fiat Uno per cancellare le tracce, poiché uno di loro, Roberto Savi, era rimasto ferito durante il conflitto a fuoco.
Luciano Baglioni e Pietro Costanza
Baglioni e Costanza, ( Vedi Foto ) scoprirono la banda della Uno Bianca grazie a un’indagine meticolosa e a un’intuizione chiave. Analizzarono ogni singolo delitto commesso dalla banda, notando particolari che suggerivano una conoscenza approfondita delle tattiche delle forze dell’ordine e delle abitudini delle vittime, in particolare dei dipendenti delle banche assaltate. Questo li portò a sospettare che i criminali fossero persone interne alla polizia, dato l’uso di armi non comuni e la capacità di evitare posti di blocco e pattuglie.
Per confermare questa ipotesi, Baglioni e Costanza decisero di adottare la stessa strategia di controllo e osservazione della banda, trascorrendo molto tempo appostati davanti agli istituti di credito nelle zone preferite dai rapinatori. Il 3 novembre 1994 notarono Fabio Savi fare un sopralluogo davanti a una banca a Santa Giustina, guidando una Fiat Tipo bianca con una targa sporca e irriconoscibile. Confrontando la sua fisionomia con quella delle immagini riprese nelle banche rapinate, notarono una somiglianza e decisero di seguirlo fino a casa sua a Poggio Torriana.
Da quel momento, le indagini si svilupparono rapidamente, portando all’arresto di Roberto Savi e degli altri membri della banda, tutti poliziotti. La scoperta che quattro su cinque componenti della banda erano colleghi in divisa fu uno choc, ma dimostrò la dedizione e l’acume investigativo di Baglioni e Costanza, che riuscirono a incastrare una delle più pericolose organizzazioni criminali italiane.
Le condanne dei componenti della Uno Bianca
I processi si conclusero il 6 marzo 1996 con condanne severe: Roberto, Fabio e Alberto Savi e Marino Occhipinti furono condannati all’ergastolo; Pietro Gugliotta ricevette una pena di diciotto anni, mentre Luca Vallicelli patteggiò tre anni e otto mesi. Marino Occhipinti, ad esempio, fu condannato all’ergastolo per l’omicidio di una guardia giurata durante una rapina.
Il suicidio del padre dei fratelli Savi
Giuliano Savi, padre dei fratelli Roberto, Fabio e Alberto Savi – noti come i principali componenti della famigerata Banda della Uno Bianca – si è tolto la vita il 29 marzo 1998. Il suo corpo è stato ritrovato all’interno di una Fiat Uno bianca, parcheggiata vicino a casa sua a Villa Verucchio, a pochi chilometri da Rimini.
La tragedia si è consumata in un clima di disperazione e vergogna, dopo la condanna all’ergastolo dei figli coinvolti nei crimini della Uno Bianca. La notizia del suicidio ha colpito duramente la famiglia, già segnata dagli eventi giudiziari e dalla condanna sociale. La moglie di Giuliano, Renata Carabini, ha avuto un malore la sera stessa dell’allontanamento del marito, probabilmente intuendo le sue intenzioni.
Significato simbolico
Il gesto di Giuliano Savi assunse anche un valore simbolico: l’uomo scelse di morire proprio nella stessa tipologia di auto – una Fiat Uno bianca – che aveva dato il nome alla banda criminale dei suoi figli e che era diventata il simbolo delle loro efferatezze.
Quali sono le teorie più diffuse sulle motivazioni della banda della Uno bianca
Le teorie più diffuse sulle motivazioni della banda della Uno bianca si articolano principalmente in tre filoni:
Motivazioni economiche e personali
La versione ufficiale e più accreditata, confermata anche dai fratelli Savi durante i processi, è che la banda agisse principalmente per procurarsi denaro. I fratelli Savi, in particolare, avevano problemi economici personali e usarono le rapine per risolverli. Questa spiegazione è supportata anche da interviste e dichiarazioni successive, che indicano il denaro come movente principale delle azioni criminali.
Azioni di stampo razzista e violento oltre il profitto
Alcuni delitti commessi dalla banda, come l’attacco al campo nomadi di Bologna e l’omicidio di due operai senegalesi, non avevano motivazioni economiche ma erano di chiara matrice razzista. Questi episodi indicano una componente ideologica o comunque un atteggiamento di intolleranza e violenza gratuita oltre il semplice furto.
Teorie su coperture istituzionali e legami con apparati segreti
Un filone molto discusso riguarda la possibile connessione tra la banda e apparati dello Stato, servizi segreti o organizzazioni paramilitari come Gladio. Documenti desecretati e testimonianze hanno fatto emergere sospetti su una rete di depistaggi, coperture e un possibile uso della banda come “braccio armato” per operazioni che non potevano essere ufficialmente attribuite a servizi segreti. In questo contesto si parla anche di un “progetto meraviglioso” e di un collegamento con organizzazioni neofasciste e logge massoniche come la P2. Queste ipotesi sono state avanzate da inchieste giornalistiche, parlamentari e da alcuni magistrati, ma non sono mai state confermate in modo definitivo in sede giudiziaria.
In sintesi, mentre il movente economico è quello ufficiale e più accertato, permangono dubbi e sospetti su motivazioni più complesse legate a violenze razziste e a possibili implicazioni di apparati deviati dello Stato, che rendono la vicenda ancora oggi oggetto di dibattito e inchieste aperte.
In che modo i sospetti di coinvolgimenti militari o di intelligence sono stati considerati
I sospetti di coinvolgimenti militari o di intelligence nella vicenda della banda della Uno bianca sono stati oggetto di indagini e dibattiti, ma non sono mai stati confermati in modo definitivo. Queste ipotesi nascono dal fatto che alcuni membri della banda erano agenti delle forze dell’ordine, e da alcune anomalie nelle indagini che hanno fatto pensare a possibili coperture o depistaggi orchestrati da apparati deviati dello Stato.
Nel contesto più ampio della storia dei servizi segreti italiani, è noto che in passato vi sono stati scandali e sospetti di attività non ortodosse, come nel caso del generale Giovanni De Lorenzo e del SIFAR, che hanno alimentato la sfiducia verso settori dell’intelligence e della sicurezza nazionale. Questo clima ha favorito teorie su un possibile uso della banda come strumento per scopi più ampi, magari legati a operazioni segrete o a strategie di destabilizzazione, anche se tali teorie restano speculative e non supportate da prove giudiziarie.
Gli organi di sicurezza e intelligence italiani, pur dotati di strutture complesse e articolate, hanno sempre negato ufficialmente qualsiasi coinvolgimento diretto con la banda, e le indagini giudiziarie si sono concentrate principalmente sui singoli membri e sulle loro responsabilità individuali.
Le prove storiche che suggeriscono un possibile ruolo o coinvolgimento dei servizi segreti italiani in vicende oscure come quella della banda della Uno bianca sono di carattere indiretto e si inseriscono in un contesto più ampio di sospetti, depistaggi e operazioni clandestine che hanno caratterizzato la storia dell’intelligence italiana nel dopoguerra.
Perché alcuni esperti parlano di “stragismo diffuso” legato alla Banda della Uno bianca
Gli esperti parlano di “stragismo diffuso” legato alla banda della Uno bianca per diversi motivi, che emergono dall’analisi degli atti giudiziari, delle indagini e delle testimonianze raccolte nel tempo:
Violenza e terrorismo mirato a creare panico: La banda non si limitò a commettere rapine per denaro, ma realizzò una serie di omicidi e attentati che sembravano avere lo scopo di seminare terrore e destabilizzare il territorio, soprattutto in Emilia-Romagna, una regione considerata un modello di cambiamento politico e sociale a sinistra. Questo tipo di violenza è stata definita come una forma di “stragismo diffuso”, cioè una strategia di terrore non confinata a un singolo evento ma distribuita nel tempo e nello spazio.
Legami con la strategia della tensione e apparati deviati dello Stato: Alcuni esperti e legali, come Alessandro Gamberini, hanno avanzato l’ipotesi che la banda fosse in qualche modo collegata a una strategia eversiva più ampia, riconducibile alla cosiddetta “strategia della tensione” che ha segnato l’Italia dagli anni ’60 agli ’80. Secondo queste teorie, la banda avrebbe agito con la complicità o la copertura di settori deviati delle forze dell’ordine e dei servizi segreti, con l’obiettivo di mantenere un clima di paura e controllo politico.
Attacchi razzisti e azioni eversive: Oltre alle rapine, la banda compì atti di violenza contro minoranze etniche (come i campi nomadi e i lavavetri stranieri) e attentati che non avevano finalità economiche ma politiche e terroristiche, rafforzando l’idea di un disegno più ampio di intimidazione e repressione sociale.
Depistaggi e misteri irrisolti: La lunga durata delle attività criminali della banda, la presenza di poliziotti tra i membri e le numerose piste false costruite durante le indagini hanno alimentato sospetti su protezioni esterne e coperture istituzionali, elementi tipici di un fenomeno di “stragismo diffuso” in cui la violenza viene utilizzata come strumento sistematico e reiterato.
In sintesi, il concetto di “stragismo diffuso” legato alla banda della Uno bianca si riferisce a una violenza organizzata e reiterata nel tempo, con finalità terroristiche e politiche, che va oltre la semplice criminalità comune e si inserisce in un contesto di tensioni sociali e politiche più ampie, con possibili connessioni a settori deviati dello Stato e alla strategia della tensione italiana.
Documentari sulla Banda della Uno Bianca
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La Vera Storia | Intervista a Fabio Savi |
Sangue e Destino | Mirare allo Stato |
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