Il Mostro di Udine | Un caso mai risolto

 

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Il “Mostro di Udine” è il nome attribuito a un serial killer mai identificato.

Il modus operandi del Mostro di Udine era caratterizzato da una particolare “firma”: le vittime presentavano una lunga incisione a forma di “S” sull’addome, realizzata con una lama simile a un bisturi.

Le ferite principali che causavano la morte erano profonde lesioni da taglio al collo e alla gola. In alcuni casi, la ritualità dei tagli sembrava aumentare nel tempo, passando da uno a più tagli sull’addome.

 

Il caso del Mostro di Udine rimane irrisolto dopo tanti anni principalmente per alcune ragioni chiave:

Mancanza di prove sufficienti: Nonostante un sospettato principale, un ginecologo con problemi psichiatrici, sia stato individuato, non sono mai emerse prove concrete e definitive per incriminarlo. La perquisizione nella sua abitazione trovò strumenti chirurgici, ma non fu possibile collegarlo in modo certo agli omicidi.

Tecnologie investigative limitate all’epoca: Gli omicidi risalgono agli anni ’70 e ’80, un periodo in cui le tecniche forensi e di analisi del DNA non erano ancora sviluppate come oggi. Questo ha compromesso l’identificazione del colpevole e la raccolta di prove utili.

Possibile presenza di più assassini: Alcune indagini hanno ipotizzato che non ci fosse un unico serial killer, ma due diversi autori con modus operandi simili, complicando ulteriormente le indagini.

Cold case e difficoltà di riapertura: Anche se negli ultimi anni sono stati ritrovati reperti e avviate analisi del DNA su materiali conservati, le indagini non hanno ancora portato a risultati decisivi. La riapertura dei casi è stata lenta e spesso bloccata da ostacoli burocratici.

Contesto sociale e vittime marginalizzate: Le vittime erano in gran parte donne emarginate, come prostitute o persone con problemi di dipendenza, il che ha forse influito sulla priorità e sull’attenzione data al caso, oltre a rendere più difficile raccogliere testimonianze e informazioni utili.

La mancanza di tecnologie avanzate ha ostacolato l’identificazione del Mostro di Udine perché negli anni ’70 e ’80 le tecniche forensi erano molto meno sviluppate rispetto a oggi. All’epoca non si disponeva di metodi sofisticati per rilevare e analizzare tracce biologiche invisibili a occhio nudo, come sangue o liquido seminale, né di tecnologie per estrarre e analizzare il DNA con precisione da reperti spesso deteriorati o scarsi.

Oggi, grazie all’intelligenza artificiale e al machine learning, è possibile identificare la natura delle tracce biologiche invisibili, localizzarle con tecniche di imaging iperspettrale e stimarne il tempo di rilascio, elementi fondamentali per collegare una traccia al momento del delitto e al sospettato. Questi strumenti permetterebbero di limitare il numero di sospetti, valutare alibi e chiarire la sequenza degli eventi, ma all’epoca non erano disponibili.

Inoltre, la mancanza di tecnologie avanzate significava anche una minore capacità di conservare e analizzare prove con metodi digitali, di effettuare analisi complesse delle impronte digitali o di utilizzare sistemi di profilazione comportamentale sofisticati, che oggi aiutano a restringere il campo delle indagini. Questo ha reso più difficile identificare con certezza il colpevole e collegare le prove raccolte alle vittime.

In sintesi, la carenza di strumenti investigativi moderni ha limitato la capacità degli inquirenti di raccogliere, conservare e analizzare prove biologiche e forensi in modo efficace, contribuendo a mantenere irrisolto il caso del Mostro di Udine per decenni.

 

Strumenti investigativi moderni che avrebbero potuto facilitare il caso del Mostro di Udine

Se fossero stati disponibili all’epoca degli omicidi, diversi strumenti investigativi moderni avrebbero potuto agevolare notevolmente le indagini:

Analisi del DNA e genetica forense: Tecniche avanzate di estrazione e analisi del DNA da tracce biologiche (sangue, liquido seminale, capelli) avrebbero permesso di identificare con precisione il colpevole o escludere sospetti, cosa non possibile negli anni ’70 e ’80.

Tecnologie di imaging iperspettrale e lampade multi lunghezza d’onda: Questi strumenti consentono di individuare tracce invisibili a occhio nudo, come fluidi corporei o residui di sangue, facilitando la raccolta di prove sulla scena del crimine.

Fotografia forense avanzata e rilievo tridimensionale della scena del crimine: Documentare con precisione la scena e le posizioni delle prove aiuta a ricostruire la dinamica del crimine e a contestualizzare le tracce.

Localizzatori GPS e videosorveglianza: Per monitorare movimenti di sospetti o vittime, raccogliendo dati su spostamenti e incontri, strumenti che oggi sono fondamentali nelle indagini.

Software di analisi e gestione delle prove digitali: L’informatica forense consente di analizzare dati digitali, comunicazioni e informazioni raccolte, integrandole con le prove fisiche per costruire un quadro investigativo più completo.

Metodologie scientifiche di raccolta e conservazione delle prove: Procedure standardizzate e aggiornate per il sopralluogo e la conservazione delle tracce, che riducono il rischio di contaminazione e perdita di informazioni cruciali.

 

Le vittime del mostro di Udine

La lunga scia di sangue inizia il 21 settembre 1971, con il ritrovamento del corpo di Irene Belletti, uccisa con 7 fendenti in diverse parti del corpo.

Il 6 novembre 1972 tocca a Elsa Moruzzi, 52 anni, trovata con il cranio sfondato in un appartamento del centro.

Nel dicembre del 1975 emerge il corpo di Eugenia Tilling mentre il 1976 è l’anno di Maria Luisa Bernardo, uccisa il 23 settembre.

Il 3 ottobre 1979 viene assassinata con 10 coltellate la 46enne Jaqueline Brechbuller, francese sposatasi a Udine.

Maria Carla Bellone, è stata squartata il 19 febbraio 1980, un mese dopo emerge il corpo carbonizzato della 18enne Wilma Ghin, scomparsa nel nulla dopo una serata in un locale.

Il 24 gennaio 1983 viene trovata senza vita Luana Gianporcaro, 22 anni. Un anno dopo, il 22 maggio, tocca a Maria Bucovaz, 44 anni, strangolata con una calza di nylon.

Pochi mesi dopo, il 29 dicembre, muore Stojanka Joksimovic, 42 anni, slava da anni residente a Udine. Il 3 marzo del 1985 è la volta di Aurelia Januschewitz, 42 anni.

L’ultima vittima senza la firma a forma di S. Firma che invece quattro anni dopo, il 26 febbraio 1989, è presente sul corpo di Marina Lepre.

 

 

L’unico sospettato

Le prove che collegano il sospettato medico agli omicidi del Mostro di Udine sono molto limitate e mai risultate sufficienti per un’accusa formale. Il sospettato, un medico ginecologo con problemi psichiatrici, è stato individuato principalmente perché trovato in stato confusionale nei pressi del luogo dell’ultimo delitto e per la presenza di strumenti chirurgici simili a quelli usati per infliggere le ferite sulle vittime.

Tuttavia, non sono mai emerse prove concrete e scientifiche, come tracce biologiche o testimonianze dirette, che lo colleghino in modo certo agli omicidi. La mancanza di elementi probatori solidi ha impedito di procedere con un’incriminazione. Inoltre, la morte del sospettato agli inizi degli anni 2000 ha chiuso di fatto la possibilità di ulteriori indagini giudiziarie su di lui.

 

 

 

Come si collegano tra loro le vittime che non erano prostitute

Le vittime del Mostro di Udine che non erano prostitute si collegano alle altre principalmente per la loro vulnerabilità sociale e il contesto in cui si trovavano. Anche se non esercitavano la prostituzione, queste donne condividevano spesso situazioni di marginalità o frequentavano ambienti come locali notturni o zone di degrado urbano, che le esponevano a rischi analoghi.

In particolare, Marina Lepre, insegnante e non prostituta, era comunque inserita in un contesto che la rendeva vulnerabile all’aggressione del killer, probabilmente per motivi legati a frequentazioni o situazioni personali che la mettevano in contatto con ambienti a rischio.

Quindi, il collegamento tra vittime prostitute e non prostitute risiede nella condizione di vulnerabilità sociale e nell’essere esposte a contesti di pericolo simili, più che nella professione in sé. Questo aspetto ha complicato le indagini, poiché il killer non sembrava limitarsi a un unico tipo di vittima, ma piuttosto a soggetti con caratteristiche di esposizione al rischio e isolamento sociale.

 

Difficoltà di indagare a fondo

Negli anni ’70 e ’80, in Italia, la società era caratterizzata da tensioni sociali e da una certa diffidenza verso le istituzioni, con fenomeni di criminalità diffusa e difficoltà di coordinamento tra le forze dell’ordine, che spesso limitavano l’efficacia delle indagini complesse come quelle su un serial killer.

Il contesto sociale di marginalizzazione delle vittime e le limitazioni tecnologiche e organizzative dell’epoca, unite a possibili condizionamenti istituzionali, hanno influito negativamente sulle indagini, contribuendo a mantenere irrisolto il caso del Mostro di Udine.

 

Libri e Documentari sul Mostro di Udine

Agata Est – Il Mostro di Udine

Libro sul Mostro di Udine

Documentario

Il Mostro di Udine

 

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